La malattia diverticolare (MD) abbraccia una varietà di condizioni associate alla presenza di diverticoli del colon, una erniazione della mucosa del colon attraverso la tonaca muscolare.

Si identificano tre condizioni :

Diverticolosi: la presenza di almeno un diverticolo del colon, in assenza di segni o sintomi di malattia.

Malattia diverticolare: diverticoli che causano sintomi, come presenza di dolore addominale  , gonfiore , flatulenza , in assenza di infiammazione .  L’acronimo inglese suona come Symptomatic Uncomplicated Diverticular Disease (SUDD). Questa condizione potremmo dire che sia indistinguibile al colon irritabile ( IBS) .

Diverticolite: l’infiammazione (peri-)diverticolare che interessa la parete dell’intestino. Può essere complicata (per lo sviluppo di complicanze come la perforazione, le fistole, l’ostruzione, il sanguinamento), oppure non complicata.

La diverticolosi è molto comune nei Paesi occidentali e la sua prevalenza aumenta con l’età. Si stima che nei paesi occidentali l’incidenza della diverticolosi dopo i 70 aa è di circa il  60%  .  La gran parte delle diverticolosi rimane asintomatica per tutta la vita, e non necessita di nessuna terapia specifica.

Dai dati statistici oggi a disposizione solo il 4%  dei soggetti con diagnosi endoscopica di diverticolosi sviluppa diverticolite. Tra questi pazienti il 15-30% presenta una recidiva e circa il 15% sviluppa complicazioni.

Nonostante la grande diffusione di questa condizione ancora poco sappiamo sulle cause della formazione dei diverticoli e soprattutto su cosa realmente determina la loro infiammazione e come prevenire le recidive infiammatorie.

Per molto tempo i capisaldi della prevenzione era basati su una due dogmi :

Dieta: assolutamente  priva di semi e bucce della frutta.

Terapia Medica: con utilizzo di antinfiammatori intestinali ( mesalazina)  o antibiotici non assorbibili ( rifaximina) con schema a finestra, ovvero 1 settimana tutti i mesi.

Studi recenti hanno stravolto completamente  questo approccio tanto che possiamo parlare di una vera rivoluzione copernicana nella gestione della malattia diverticolare.

Dieta:  in America è stato effettuato uno studio molto interessante su un campione di cinquantamila pazienti che dimostra esattamente come chi riduce il consumo di frutta, verdura e cibi contenenti semi è più a rischio di diverticolite. Al contrario una dieta ricca di fibre sembra avere una ruolo protettivo tanto che si raccomanda una assunzione giornaliera di almeno 15 gr al giorno. In campo nutrizionale l’attenzione che una volta veniva rivolta ai semi ed alle bucce andrebbe invece utilizzata nella assoluta riduzione del consumo di cibi raffinati , come prodotti da forno derivati da farina bianca (pane in cassetta, brioches, panini al latte, dolci, ecc.), cereali da colazione , bevande zuccherate (inclusi i succhi di frutta ), piatti pronti e, in generale, tutti quei cibi che richiedono una lavorazione industriale della materia prima, l’aggiunta di zuccheri, aromi, coloranti, esaltatori di sapidità, ecc. sono questi i veri veleni di cui avere paura.

Terapia medica: L’impostazione storica era rivolta alla ricerca di farmaci in grado di ridurre l’infiammazione della parete colica con l’uso di antinfiammatori e antibiotici.

La mesalazina  inibisce alcuni fattori della cascata infiammatoria come la ciclo-ossigenasi, la trombossano-sintetasi e l’interleuchina-1.  Una meta-analisi per la prevenzione della recidiva della diverticolite è stata appena effettuata dall’American Gastroenterological Association.

mostra che la mesalazina probabilmente non riduce il rischio di recidiva .

La rifaximina è un analogo non sistemico della rifampicina, che inibisce la sintesi del RNA batterico. Essa è tradizionalmente considerata come un antibiotico, per uso orale, non assorbibile.

E’ stata testata in molti studi  nella terapia dei sintomi della malattia diverticolare. In una recente meta-analisi  degli studi prospettici pubblicati, il 64% dei pazienti affetti da SUDD trattati con rifaximina risultavano a 1 anno privi di qualunque sintomo, rispetto al 35% dei pazienti trattati con placebo. Proprio la maggior efficacia di questo approccio ha indirizzato una nuova chiave di lettura nella gestione della malattia diverticolare. È possibile che la molecola non agisca soltanto come antibiotico, ma anche come importante immunomodulatore. La rifaximina riduce l’adesività batterica alle cellule epiteliali e al conseguente incorporamento dei batteri, con una conseguente ridotta espressione epiteliale delle citochine proinfiammatorie. Inoltre è sempre più evidente che il maggior effetto della rifaximina è modulatorio su alcune specie di batteri considerate benefiche nell’intestino, compresa la crescita dei lattobacilli e bifidobatteri (effetto eubiotico). Quindi la terapia della diverticolite possiamo dire che si sta sempre più spostando dal ridurre l’infiammazione del contenitore ( colon) a modificare l’equilibrio tra batteri buoni e cattivi nel contenuto colico ( microbiota colonico) .

La nuova impostazione terapeutica è oggi basata su lunghi cicli di probiotici specifici in grado di colonizzare il colon e ridurre gli effetti negativi dei batteri infiammatori.

Altro capitolo estremamente importante è la migliore identificazione del peso dei fattori di rischio, per selezionare la popolazione a maggio rischio.

I FANS, compresa l’aspirina, sono considerati ormai fattori di rischio per la diverticolite. Essi provocano diretto danno locale nel colon, alterano l’integrità della mucosa e inibiscono la sintesi delle prostaglandine. I due fattori possono indurre diverticolite .

L’aspirina ha un ruolo molto rilevante nella prevenzione delle malattie croniche, in particolare nella prevenzione secondaria degli eventi cardiovascolari. Sarebbe così rilevante comprendere il “peso” dell’aspirina da sola nell’indurre diverticolite, per comprendere se essa possa continuare a essere assunta da pazienti con storia di diverticolite. Le evidenze più solide provengono da un ampio studio prospettico di coorte su pazienti senza episodio di diverticolite. Lo studio ha rilevato un aumento  del rischio di diverticolite tra i pazienti sotto aspirina. Il rischio aumenta con la frequenza dell’uso, ma non con la dose. L’aspirina potrebbe indurre un maggior rischio di recidiva di diverticolite in 5 pazienti ogni 100 in un periodo di follow-up di 5 anni.

Ciò è sorprendente, poiché i costi economici diretti e indiretti della malattia diverticolare si riversano soprattutto negli episodi di diverticolite, e nella gestione delle sue complicanze.

Bisogna aggiungere che molti pazienti in trattamento con aspirina sono anche in terapia con i farmaci che proteggono lo stomaco dal suo effetto gastro lesivo (inibitori della pompa protonica  IPP ). La carenza di acido nello stomaco è  un altro fattore importante di alterazione del microbiota colonico. La sterilizzazione del cibo avviene proprio grazie alla presenza dell’ambiente acido gastrico che blocca il passaggio dei batteri orali e dei batteri ambientali a livello intestinale.

Da quanto detto possiamo fare un identikit del paziente a rischio di diverticolite e di recidive di esse, un paziente che ha una alimentazione scarsa di fibre, ricca in zuccheri raffinati e prodotti industriali in terapia con aspirinetta e IPP.