Secondo le stime GLOBOCAN 2020 fornite dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), il tumore del colon-retto rappresenta il 10 per cento di tutti i tumori diagnosticati nel mondo, ed è terzo per incidenza dopo il cancro del seno femminile (11,7 per cento) e del polmone (11,4 per cento).

La malattia è maggiormente diffusa in persone fra i 60 e i 75 anni, con poche distinzioni fra uomini e donne. In Italia le stime più recenti parlano di oltre 43.700 nuovi casi all’anno: circa 20.282 nelle donne e 23.420 negli uomini . Nell’ultimo ventennio, grazie principalmente allo screening di popolazione, l’incidenza è in diminuzione in Italia in entrambi i sessi. Tuttavia dati più recenti mettono invece in luce un aumento annuo dello 0,4 per cento dei casi di tumore in individui con meno di 50 anni di età e pertanto non coperti dallo screening. Questo aumento di casi riguarda in particolar modo soggetti molto giovani, fino all’età di 30 anni al momento della diagnosi, per cause non ancora conosciute e al momento oggetto di studio anche da parte di ricercatori in Italia. Inoltre, diversamente dalle attese, i tumori del colon-retto insorti in soggetti di giovane età, in più del 50 per cento dei casi non sono dovuti a familiarità per questo tipo di cancro o a malattie genetiche predisponenti allo sviluppo di tumori, ma sembrano essere sporadici.
Tra i fattori di rischio noti per il tumore del colon-retto sicuramente la dieta gioca un ruolo centrale. In particolare diete ad alto contenuto di grassi, zuccheri e proteine animali.

Obesità e sovrappeso costituiscono ulteriori fattori di rischio, in genere legati a una alimentazione e a uno stile di vita poco sani.
Un’alimentazione che preveda abbondanti porzioni di cibi salutari a base vegetale potrebbe ridurre anche di un quinto le probabilità di ammalarsi di tumori dell’intestino. È quanto suggerito da un ampio studio che ha indagato l’associazione tra il consumo di frutta, verdura, frutta secca e legumi in varie quantità e il rischio di contrarre un tumore del colon-retto.

La ricerca pubblicata su BMC Medicine ha coinvolto 79.952 uomini e 93.475 donne di varie origini residenti negli Stati Uniti e li ha seguiti per oltre 19 anni, periodo nel quale si sono verificati tra i volontari (tutti sulla sessantina) 4.976 casi di tumori del colon-retto. Gli scienziati coordinati da Jihye Kim della Kyung Hee University (Corea del Sud) hanno sottoposto ai volontari una lista di 180 cibi e bevande e chiesto loro di dire quanto spesso e in quali porzioni consumassero ciascuno: fino a “due o più volte al giorno” per i cibi e fino a “quattro o più volte al giorno” per le bevande. Gli alimenti sono stati classificati in cibi a base vegetale sani (cereali integrali, frutta, verdura, oli vegetali, frutta secca, legumi, tè e caffè); un po’ meno sani (cereali raffinati, succhi di frutta, patate e cibi con zuccheri aggiunti) e infine derivati animali (grassi animali, latticini, uova, pesce e frutti di mare, carne).

 Per ognuno di questi gruppi di alimenti, il consumo giornaliero per ogni 1000 kcal di cibo ingerito è stato suddiviso in quintili, ossia in cinque parti, dalla maggiore quantità ingerita sul totale di cibo assunto in un giorno fino alla minore. Si è visto così che gli uomini che consumavano le più grandi quantità di cibi vegetali sani (primo quintile) correvano un rischio ridotto del 22% di ammalarsi di tumori dell’intestino rispetto a quelli che ne ingerivano nelle quantità inferiori (quinto quintile).
Questo effetto non è però stato osservato nelle donne.

 Gli scienziati sospettano che il merito di questa riduzione sia degli antiossidanti contenuti nei cibi vegetali freschi e non processati e in bevande come tè e caffè, che aiutano a ridurre l’infiammazione dell’intestino associata alla comparsa di tumori. La protezione offerta dalla dieta sarebbe più evidente negli uomini perché, rispetto alle donne, corrono un rischio più elevato di sviluppare tumori del colon-retto. Il ruolo benefico del cibo sarebbe pertanto più evidente in questo gruppo. Si tratta, è bene ricordarlo, di una semplice associazione e non di un rapporto causa-effetto: non è ancora possibile asserire se sia proprio l’alimentazione vegetale in sé (e non per esempio un fattore ad essa legato) a determinare una riduzione del rischio.