Il carcinoma del colon retto  nel mondo è la terza neoplasia più frequente, e la seconda causa di morte tumorale. Rappresenta un grave problema soprattutto nel Nordamerica e nell’Europa occidentale. Ha un’incidenza nella popolazione italiana di circa 34.000 nuovi casi l’anno e si sviluppa più spesso nel colon (circa il 70% dei casi) e meno frequentemente nel retto (30%).

La distribuzione geografica di questa neoplasia ha indubbiamente evidenziato che esiste una correlazione diretta tra la triade comportamentale caratteristica di questi Paesi (dieta ricca di grassi e zuccheri raffinati;  obesità ; vita sedentaria ) e sviluppo del cancro del colon. Studi recenti hanno infatti dimostrato come questa triade sia la responsabile di quella grave alterazione a carico del  microbiota colinico; un vero e proprio organo contenuto nel colon costituito da batteri . In particolare la maggior predisposizione alla sviluppo dei polipi nel colon (adenomi)  e l’innesco della sequenza adenoma – cancro dipende dal rapporto tra due specifici batteri il Fusobacterium Nucleatum  e Faecalibacterium Prausnitzii. Più è alto questo rapporto ( alto Fusobacterium e basso Faecalibacterium)  maggiore è il rischio.  Bisogna assolutamente fare una campagna informativa su questo tema come nel passato è stato fatto per il diretto rapporto esistente tra un altro batterio ed un’altra neoplasia : Helicobacter Pylori  e cancro gastrico .

Esistono anche delle rare condizioni genetiche di predisposizione a questa neoplasia come la poliposi familiare( FAP)  e la sindrome di Lynch.

Programmi di screening

La stragrande maggioranza di queste neoplasie può essere evitata grazie ad una attenta prevenzione

infatti, è ormai ben nota la sequenza polipo del colon e cancro del colon ovvero quasi sempre il

tumore del colon nasce da una trasformazione neoplastica di un polipo. Grazie alla colonscopia è possibile interrompere questa sequenza e quindi l’atto endoscopico non è solo diagnostico ma anche  terapeutico . Esiste un criterio di valutazione circa l’abilità dei singoli servizi di endoscopia sulla rilevazione delle formazioni polipoidi del colon definito :  Adenoma Detection  Rate  che indica la percentuale delle lesioni polipoidi riscontrate dal singolo operatore rispetto al numero totale di procedure eseguite. Questo indice si dovrebbe aggirare intorno al 20% nella popolazione soggetta alle colonscopie di screening .

Studi scientifici accreditati hanno confermato come per ogni aumento dell’1% dell’ADR corrisponda una diminuzione del 3% del rischio di cancro colorettale.

I programmi di screening si basano sul fatto che la trasformazione maligna dei polipi adenomatosi avviene in  un periodo molto lungo (dai 7 ai 15 anni) È in questa finestra temporale che lo screening consente di fare una diagnosi precoce ed eliminare i polipi prima che abbiano acquisito caratteristiche pericolose.

Secondo uno studio statunitense i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Medical Screening, i numeri degli screening non sempre sono perfettamente in linea con quelli di incidenza del tumore del colon-retto, ovvero con il numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno. In particolare, gli autori della ricerca hanno osservato un aumento delle diagnosi di questo tumore nei pazienti più giovani (40-54 anni).   Da notare che proprio l’incremento dei casi tra i giovani, registrato in diversi studi, aveva già indotto la American Cancer Society a raccomandare di iniziare lo screening all’età di 45 anni e non a 50.

Il test di screening utilizzato nella quasi totalità dei programmi è il test del sangue occulto nelle feci, eseguito ogni 2 anni nelle persone tra i 50 e i 69 anni. L’esame, estremamente semplice, consiste nella raccolta (eseguita a casa) di un piccolo campione di feci e nella ricerca di tracce di sangue non visibili a occhio nudo. In media, per ogni 100 persone che fanno l’esame, cinque risultano positive. Non tutte, però, avranno polipi: le tracce di sangue possono essere dovute per esempio a emorroidi , a diverticoli o a piccole lesioni dovute alla stitichezza. Inoltre l’esame non sempre è in grado di rilevare la presenza di un polipo: può infatti capitare che un polipo o una lesione tumorale siano presenti ma non sanguinino il giorno dell’esame. Per questo è importante ripetere lo screening alla periodicità consigliata.

Le tecniche di analisi più recenti, inoltre, hanno consentito di migliorarne ulteriormente l’efficacia e di ridurre i disagi per il paziente. Oltre ad avere una maggiore capacità diagnostica, infatti, i nuovi test consentono di raccogliere un unico campione di feci (e non tre, come avveniva fino a qualche anno fa), senza la necessità di osservare restrizioni alimentari.

Nel caso di positività all’esame del sangue occulto nelle feci i programmi di screening prevedono l’esecuzione di una colonscopia , che come abbiamo detto,  è sia un esame diagnostico che terapeutico.  

Se fosse questo l’unico parametro da considerare nell’adozione di un esame all’interno di un percorso di screening, la colonscopia sarebbe il test ideale. Tuttavia non è così. La scelta di un’indagine da impiegare in un contesto di screening è sempre il frutto della valutazione del rapporto tra benefici e costi. E se la colonscopia ha altissimi benefici, altrettanto alti sono i costi, sia per il paziente, sia per il servizio sanitario.

Innanzitutto, a causa della sua invasività, la colonscopia è un test difficilmente accettabile da una popolazione fino a prova contraria sana: comporta disagi legati alla sua preparazione e alle modalità di esecuzione. Inoltre, seppur rari e per lo più ridotti, non è esente da rischi. Infine, il tempo di esecuzione del test (e di conseguenza il numero di specialisti da dedicare) lo rendono un esame costoso dal punto di vista economico. Per tutte queste ragioni si sta esplorando la possibilità dell’impiego della colonscopia virtuale, vale a dire una TC in grado di fornire una visualizzazione tridimensionale della parete interna dell’intestino.

La colonscopia virtuale promette dei vantaggi sia rispetto al test del sangue occulto nelle feci, dal momento che è molto più accurata e consentirebbe di anticipare la diagnosi, sia rispetto alla colonscopia : è infatti meno invasiva e quindi potrebbe essere meglio accettata dalla popolazione.

Tuttavia, la reale efficacia dell’esame è ancora poco conosciuta (per esempio non è chiara la sua capacità di rilevare i polipi più piccoli) e non manca di limiti: la colonscopia virtuale, a differenza di quella tradizionale, utilizza radiazioni ionizzanti e una volta identificato un polipo non consente di eliminarlo. Per farlo è necessario ricorrere all’esame tradizionale con un aumento dei disagi per l’utente (che si sottopone a una doppia preparazione) e di costi.

Per fugare questi dubbi sono in corso diversi studi i cui risultati sono attesi nei prossimi anni.