L’alimentazione moderna è caratterizzata da prodotti (farina doppio zero, zuccheri raffinati, prodotti industriali) che inducono un rapido aumento della glicemia (alto indice glicemico).

Se associamo questi alimenti a pasti molto frequenti durante la giornata abbiamo una massiccia produzione di insulina, un ormone prodotto dal pancreas che determina il passaggio del glucosio nelle cellule con produzione di energia rapida.

Il suo alto livello circolante ha però una serie di effetti negativi.
Il principale è un progressivo adattamento delle cellule alla sua azione e quindi per poter agire c’è bisogno di livelli sempre più alti di ormone circolante, fenomeno definito “insulino resistenza” che determina un aumento della glicemia postprandiale dovuta al progressivo esaurimento delle beta-cellule pancreatiche, questo comporta poi la comparsa di iperglicemia anche a digiuno e quindi successivo sviluppo di diabete mellito di tipo 2.


Il fenomeno dell’insulino resistenza è la causa di gravi condizioni patologiche:
• Inibisce la lipolisi (utilizzazione dei trigliceridi a scopo energetico) con conseguente aumento del grasso viscerale e corporeo e sviluppo di obesità.
• Favorisce l’accumulo di glucosio (sotto forma di glicogeno) a livello epatico con conseguente innesco del processo da steatosi epatica a steatoepatite (infiammazione del fegato) fino alla
cirrosi.
• Stimola la proliferazione cellulare con innesco di processi di duplicazione che portano allo sviluppo dei tumori.
• Stimola la produzione endogena di colesterolo con sviluppo di placche ateromasiche e maggior rischio di malattie cardiovascolari.
Per combattere questo fenomeno è utile associare due principi dietetici, quello del digiuno intermittente ed adottare uno schema di alimentazione a prevalenza di fibre come la dieta mediterranea.


Il Digiuno Intermittente

Le possibilità per attuarlo sono due:
Digiuno settimanale.
Una o due giornate di digiuno nell’arco della settimana.


Digiuno ad orario
Dividere la giornata in due fasce orarie, una entro la quale consumare i cibi e l’altra invece di digiuno. Il digiuno deve essere minimo di 12 ore e progressivamente va aumentato fino ad arrivare ad una media di 16 o 18 ore, quindi avere una fascia alimentare di 8 o 6 ore. Ad esempio se si finisce di cenare alle 20 la sera si può tornare a mangiare non prima delle 12 o 14 del giorno dopo.

Le regole per un corretto uso del digiuno sono:
• Nella fase di alimentazione bisogna osservare una dieta equilibrata (dieta mediterranea). Un consiglio utile per iniziare è quello di farlo solo in alcuni giorni della settimana ed all’inizio solo per dodici o quattordici ore. Poi progressivamente si può allungare sia come frequenza settimanale che come durata. In questo modo diverrà naturale e poco stressante arrivare alle sedici ore di digiuno giornaliero.
• Nella fase di digiuno è assolutamente vietata l’assunzione di qualsiasi fonte di caloria. È possibile bere tisane, caffè o tè (preferibilmente tè verde) senza zucchero.
• Nell’arco delle 24 ore bere almeno 2 litri di liquidi.
Un mito assolutamente da sfatare è la possibile insorgenza di un calo di zuccheri (ipoglicemia) e quindi di energia quando non si mangia.


Nelle prime ore del digiuno il nostro organismo scinde il glicogeno epatico (ossia le scorte di glucosio nel fegato) in glucosio, meccanismo che viene denominato glicogenolisi.

Quando lo stato di digiuno si protrae, si riduce il livello di insulina e quindi possiamo utilizzare le nostre scorte di energia immagazzinate come grasso viscerale (trigliceridi).
Questo processo prevede la scissione dei trigliceridi nei sui componenti essenziali ossia glicerolo e tre acidi grassi o chetoni.


Il glicerolo viene trasformato poi in glucosio dal fegato (gluconeogenesi).
I corpi chetonici (acetone, acido acetoacetico e acido-idrossibutirrico) possono essere utilizzati dalle cellule in sostituzione del glucosio per garantire tutta l’energia necessaria, condizione definita chetosi metabolica.


Se pensiamo alla storia della nostra specie, alle condizioni di scarsità di cibo in cui ci siamo evoluti, appare evidente che la chetosi è stata la forma di adattamento che ci ha permesso di ricavare nutrimento utilizzando il grasso accumulato nei rari momenti di abbondanza.
È stato calcolato che 1Kg di tessuto adiposo corrisponde ad una riserva energetica di circa 7000 Kcal.


La percentuale di grasso corporeo nel range di normalità è compresa tra il 15% per gli uomini e tra il 20% per le donne, significa che ci sono mediamente 10kg di tessuto adiposo a disposizione per riserva energetica che possono soddisfare richieste per 70.000 cal. Se consideriamo che la spesa giornaliera media per una soggetto con attività fisica di un’ora al giorno è di circa 3000 Kcal, otteniamo che potremmo digiunare per un mese senza rischiare nulla!


Oltre il suo effetto benefico a livello metabolico il digiuno intermittente è in grado di influenzare la composizione del microbiota intestinale, determinando l’aumento della specie Akkermansia muciniphila (nota per i suoi effetti benefici sul metabolismo dell’ospite) e la riduzione di specie infiammatorie come  Rikenellaceae, Ruminococcaceae e del genere Alistipes. 


A ciò si aggiunge un aumento dei livelli plasmatici di alcuni prodotti della fermentazione microbica, in particolare acetato e lattato.
Curiosità sul digiuno: quanto è possibile stare a digiuno?


Uno dei più lunghi digiuni volontari e assistiti fu documentato nel 1966 in Scozia presso l’University Department of Medicine della Royal Infirmary di Dundee e lo compì Angus Barbieri, che all’età di 27 anni sopravvisse senza mangiare per 382 giorni, dal 24 giugno 1965 all’11 luglio 1966, perdendo ben 125 kg, dai 207 iniziali agli 82 finali. Il lunghissimo digiuno di Angus Barbieri avvenne in condizioni controllate con il supporto di liquidi pressoché privi di calorie, integratori di vitamine e minerali.