Chirurgia oncologica

Branca della chirurgia applicata all’oncologia, e si occupa della diagnosi e trattamento dei tumori.

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Chirurgia oncologica

Chirurgia oncologica

Branca della chirurgia applicata all’oncologia, e si occupa della diagnosi e trattamento dei tumori.

Le differenze tra chirurgia generale e oncologica sono prevalentemente culturali e metodologiche. Il chirurgo oncologo opera generalmente all’interno di equipe multidisciplinari assieme all’oncologo, al Radioterapista, all’anatomo patologo con i quali concorda un percorso diagnostico e terapeutico per il paziente e ne segue lo svolgimento. Anche i criteri e le scelte chirurgiche effettuate sono peculiari e caratteristiche di questo specifico ambito.

RETE ONCOLOGICA

La Regione Campania ha istituito l’infrastruttura Rete Oncologica Campana delibera n. 98 del 20.09.2016, coordinata dall’ Istituto Nazionale Tumori Fondazione IRCCS G. Pascale.

La Rete Oncologica Campana ( ROC)  si sviluppa, in primo luogo, attraverso l’individuazione di tutti i centri deputati alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dei tumori maligni. 

La ROC è costituita da:

  • Centri Oncologici di Riferimento Polispecialistici (CORP) con funzioni diagnostico/stadiative, terapeutiche e di follow-up oncologico.
  • Centri Oncologici di Riferimento Polispecialistici Universitari o a carattere Scientifico (CORPUS) che, oltre alle funzioni dei CORP, svolgono attività peculiari (ricerca, formazione, sviluppo di metodi e strumenti screening, terapia del dolore).
  • Centri Oncologici presso le ASL e le strutture per le cure palliative.

I CORP ed i CORPUS garantiscono la presa in carico della persona affetta da patologia oncologica e la definizione del percorso assistenziale più adeguato attraverso i Gruppi Oncologici Multidisciplinari (GOM), costituiti da gruppi di Specialisti necessari ad attuare il PDTA patologia-specifico.

I GOM aziendali e interaziendali sono costituiti tra CORP/CORPUS e i centri oncologici delle ASL.

Obiettivi della Rete Oncologica Campana

  • Definire ed organizzare il livello di condivisione di tutti gli strumenti utilizzati dalle diverse figure professionali coinvolte nell’assistenza oncologica: sistemi informativi, cartelle telematiche, linee guida, registri per patologia, etc.;
  • Assicurare la Multidisciplinarità dell’atto di Presa in Carico dell’assistito nell’intero percorso assistenziale, garantendo percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) capaci di continuità assistenziale e interventi adeguati e tempestivi, riducendo le liste d’attesa e secondo le corrette sequenzialità (revisione annuale);
  • Favorire l’inserimento dei pazienti in studi clinici e promuovere in modo sinergico ricerca e innovazione in campo oncologico;
  • Garantire il superamento delle disomogeneità territoriali e la riduzione dei disagi logistici e di orientamento dei pazienti, riducendo la dispersione e la migrazione sanitaria;
  • Facilitare lo scambio di informazioni fra tutti i soggetti che si occupano di patologie oncologiche;
  • Supportare le aziende sanitarie nell’organizzazione, gestione ed efficientamento dei servizi in Oncologia;
  • Individuare e diffondere best practice ed innovazioni gestionali lungo i processi chiave del ciclo diagnostico/ terapeutico in oncologia;
  • Razionalizzazione dell’uso di tecnologia ad alta complessità/costo mediante l’applicazione di protocolli specifici di ricerca e programmi di training specifico
  • Creazione di un registro regionale degli outcome degli interventi chirurgici oncologici;
  • Integrare i servizi sanitari e sociali per l’assistenza a malati oncologici coordinando tutte le professionalità e le Istituzioni coinvolte nella prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione oncologica, migliorando costantemente la qualità, l’appropriatezza e l’efficacia delle cure secondo il mutare delle Linee Guida e le best practice;

La Casa di Cura Villa Maria partecipa alla ROC in collaborazione con Istituto Nazionale Tumori Fondazione IRCCS G. Pascale per le seguenti neoplasie:

La Breast Unit è un modello di assistenza specializzato nella diagnosi (screening e diagnostica clinico-strumentale), nella cura e nella riabilitazione psicofisica delle donne affette da carcinoma mammario, dove la gestione del percorso della paziente è affidato a un gruppo multidisciplinare di professionisti dedicati e con esperienza specifica in ambito senologico.

In Italia, ogni anno si ammalano di tumore al seno circa 53 mila donne.

Esclusi i tumori della pelle, si tratta della neoplasia più frequente nella popolazione femminile e che causa il maggior numero di decessi in tutte le fasce di età, ed è in assoluto la prima causa di morte per le donne tra i 35 e i 50 anni: una vera e propria priorità sanitaria.

Ma i numeri rivelano anche altro. Per esempio la donna che viene curata in un centro di senologia, dove è

presente un’équipe multidisciplinare, ha più possibilità di guarire: le pazienti trattate in questi centri infatti hanno una percentuale di sopravvivenza più alta del 18%  rispetto a quelle curate nelle strutture non specializzate e hanno anche una migliore qualità di vita.

Non solo: l’accesso a ogni reparto è regolato, in modo che le liste di attesa siano quanto più brevi possibile, e non superino i limiti previsti.

Perché è così importante la presenza di un’équipe multidisciplinare?

Ormai è noto che il tumore al seno è una malattia molto complessa: prima di tutto non esiste un solo tipo di tumore al seno, ma ne esistono molti tipi, che differiscono anche a livello molecolare.

Ciascun tumore va identificato nel modo corretto, affinché si possa stabilire la terapia più mirata ed efficace per ogni donna.

È quindi fondamentale che i diversi specialisti si scambino le informazioni e discutano insieme ogni singolo caso. Solo così è possibile stabilire il migliore piano terapeutico, aumentare le probabilità di successo del trattamento e

ridurre al minimo gli effetti collaterali dei farmaci.

Con un risparmio economico anche per la sanità, perché si evitano esami inutili o la loro ripetizione. Si evitano, inoltre, i pellegrinaggi che molte pazienti sono spesso costrette a fare alla ricerca dei diversi specialisti, che comportano un enorme spreco di tempo e di denaro a carico delle donne stesse, e che accrescono le

incertezze.

Alle opinioni personali di un solo clinico si sostituisce, infatti, una decisione collegiale, che nasce dal confronto di più professionisti, che segue i protocolli e le linee guida più aggiornati e che deve tener conto anche del punto di

vista della paziente.

È infatti previsto che ogni opzione terapeutica sia esaminata e spiegata alle donne, che devono essere messe al centro della cura.

TUMORE DEL COLON RETTO

Il carcinoma del colon retto  nel mondo è la terza neoplasia più frequente, e la seconda causa di morte tumorale . Rappresenta un grave problema soprattutto nel Nordamerica e nell’Europa occidentale. Ha un’incidenza nella popolazione italiana di circa 34.000 nuovi casi l’anno e si sviluppa più spesso nel colon (circa il 70% dei casi) e meno frequentemente nel retto (30%).

Programmi di screening

La stragrande maggioranza di queste neoplasie può essere evitata grazie ad una attenta prevenzione, infatti, è ormai ben nota la sequenza polipo del colon e cancro del colon ovvero quasi sempre il tumore del colon nasce da una trasformazione neoplastica di un polipo. Grazie alla colonscopia è possibile interrompere questa sequenza e quindi l’atto endoscopico non è solo diagnostico ma anche  terapeutico .

I programmi di screening si basano sul fatto che la trasformazione maligna dei polipi adenomatosi avviene in  un periodo molto lungo (dai 7 ai 15 anni) È in questa finestra temporale che lo screening consente di fare una diagnosi precoce ed eliminare i polipi prima che abbiano acquisito caratteristiche pericolose.

Secondo uno studio statunitense i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Medical Screening, i numeri degli screening non sempre sono perfettamente in linea con quelli di incidenza del tumore del colon-retto, ovvero con il numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno. In particolare, gli autori della ricerca hanno osservato un aumento delle diagnosi di questo tumore nei pazienti più giovani (40-54 anni).   Da notare che proprio l’incremento dei casi tra i giovani, registrato in diversi studi, aveva già indotto la American Cancer Society a raccomandare di iniziare lo screening all’età di 45 anni e non a 50.

La chirurgia rappresenta il primo e più importante presidio terapeutico, con l’obiettivo non solo di resecare il tratto di viscere contenete il tumore ma anche di asportare i linfonodi sede di possibile localizzazione di cellule neoplastiche drenate per via linfatica.

L’approccio laparoscopico tecnicamente, è ormai considerato equivalente da un punto di vista oncologico, all’intervento tradizionale laparotomico offrendo però al paziente tutti i vantaggi del trattamento mini-invasivo come l’assenza di grandi cicatrici , poco dolore post-operatorio, rapida ripresa.

Nell’ambito della terapia chirurgica del colon retto oggi è molto importante estendere il concetto di mini-invasività oltre al puro fatto tecnico anche alla gestione in toto del paziente adottando i protoccolli definiti  ERAS (Enhanced Recovery After Surgery)

Infatti dai recenti dati della letteratura è emerso che il digiuno post operatorio associato alla preparazione intestinale, che erano i capisaldi della chirurgia tradizionale, possano determinare un significativo fattore di rischio aggiuntivo di complicanze post-operatorie. Una rapida ripresa della alimentazione associata ad una rapida mobilizzazione del paziente sono fattori fondamentali per una corretta gestione di questi pazienti. A

Il melanoma è un tumore maligno che si origina dai melanociti della cute e delle mucose, da quelli che costituiscono i nevi o, molto più raramente, dai melanociti posti in sedi extracutanee (occhio, meningi, orecchio interno, etc…).

Il melanoma si sviluppa in tempi successivi attraverso vari stadi di progressione in cui presenta aspetti clinici ed istologici diversi. Tra i vari fattori che possono essere presi in considerazione per prevedere l’evoluzione del melanoma, attualmente si considera di primaria importanza lo spessore massimo del tumore espresso in mm (secondo Breslow), determinato istologicamente mediante oculare micrometrico: a spessore crescente corrisponde una prognosi progressivamente peggiore, tenendo ben presente che pazienti con lesioni di spessore < 0,75 mm presentano aspettative di vita a 10 anni prossime al 100%.

Il melanoma si considera rarissimo prima della pubertà, colpisce prevalentemente soggetti di età compresa tra i 30 ed i 60 anni e di classe sociale medio-alta.

A livello mondiale, si stima che nell’ultimo decennio il melanoma cutaneo abbia raggiunto i 100.000 nuovi casi l’anno: un aumento di circa il 15% rispetto al decennio precedente. Il melanoma cutaneo è, in particolare, decine di volte più frequente nei soggetti di ceppo europeo (caucasici) rispetto alle altre etnie. I tassi di incidenza più elevati si riscontrano infatti nelle aree molto soleggiate e abitate da popolazioni di ceppo nordeuropeo, con la pelle particolarmente chiara.

A livello delle diverse sedi anatomiche, il maggior aumento dell’incidenza è stato per i melanomi del tronco e minimo per quelli della testa e del collo, per quelli delle gambe gli incrementi sono stati più marcati nel sesso femminile.

 Il melanoma cutaneo ha una prognosi – cioè un’evoluzione nel tempo – strettamente dipendente dallo spessore raggiunto nella pelle al momento della sua diagnosi e asportazione.

Se il melanoma è ancora rimasto confinato agli strati cutanei superficiali, la prognosi è generalmente buona, con guarigione del paziente.

Viceversa, se il melanoma ha raggiunto gli strati più profondi perché ha avuto molto tempo di accrescersi prima della sua identificazione ed asportazione, i rischi di vita per il paziente sono molto elevati. Individuare il melanoma quanto più precocemente possibile rappresenta quindi la principale arma per tentare di ridurne la mortalità.

Grazie, quindi, a campagne di educazione sanitaria per incentivare nella gente la sensibilità al “neo che cambia”, adesso la quota di melanomi scoperti quando la prognosi può essere ancora favorevole è arrivata al 60-70%.

Il risultato è stato il miglioramento della sopravvivenza: nel 1960 solo la metà dei malati di melanoma era ancora in vita 5 anni dopo la prima diagnosi, mentre oggi lo è circa l’80% di essi, quindi un 30% in più.

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